Lui le carezza di nuovo i capelli.

«A che ora porteranno le pizze?»

«Verso le otto» dice lui. «Di solito sono puntuali.»

 

Le finestre si riempiono di tramonto, lui si appisola e le ciocche bionde di capelli, della stessa sostanza dei sogni, svaniscono lentamente tra le sue dita. La tivù trasmette suoni e immagini nel vuoto per quasi un'ora.

Suonano alla porta. Lui ha un sussulto. Apre gli occhi, si guarda intorno come se avesse perso l’orientamento. Le finestre sono piene di notte. Si guarda intorno, con le punte dei piedi cerca le ciabatte, le infila e si affretta verso la porta.

«Le sue pizze, signore.»

Il ragazzo delle pizze, avvolto dal bagliore delle luci a neon del pianerottolo, ha un gilet e un cappellino di un verde quasi fluorescente, un sorriso appena disegnato sotto gli occhiali dalle lenti spesse. Lui socchiude gli occhi, infila la mano nella larga tasca della vestaglia, estrae una banconota e la porge al ragazzo, che in cambio gli passa due caldi contenitori di cartone.

«Tieni il resto.»

«Grazie signore» dice il ragazzo infilando la banconota in un marsupio e scomparendo subito dopo nella gola delle scale.

Lui posa i contenitori delle pizze sul tavolo del soggiorno, uno accanto all'altro, li apre e un leggero vapore sale veloce a scaldargli il viso, mischiandosi all'odore di pomodoro, mozzarella e cartone. Con un grosso coltello taglia le pizze a spicchi. Si siede, prende uno spicchio con due mani, ne morde la punta e, mentre mastica lentamente, il suo sguardo si perde nel vuoto della stanza, illuminata solo dalla luce intermittente e multicolori della tivù, fino all'angolo dove si erge, proprio accanto al secchio dell'immondizia, una catasta disordinata di contenitori per la pizza.

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