C'erano state domeniche piovose, una dopo l'altra, e come le sue sorelle Gisèle era andata a messa con le scarpe vecchie. Provò il desiderio, contravvenendo alle regole, di indossare le scarpe nuove e vibrare così nell'emozione dei passi, di ascoltare il rumore da donna che i tacchi bassi producevano sul pavimento.
Gisèle dispose le scarpe nuove davanti a sé, affondò la punta del piede destro, ma sul dorso avvertì una prima resistenza. Spingendo ancora comprese che il suo piede era cresciuto, ma lottò contro ogni evidenza fino a infilare tutte e due le scarpe. A ogni passo un morso sul tallone e uno sulla punta del piede le procuravano una lacrima. Raggiunse la cucina dove la finestra inquadrava i vigneti delle colline, sovrastati da un cielo livido che sembrava volesse schiacciare l'intera Strasburgo. Lì, tra quei vigneti, i suoi genitori stavano lavorando già dall'alba.
Gisèle dosò ancora qualche passo fino davanti al camino, dove si sentiva in empatia con quell'ultimo tizzone che stava sbriciolando nella cenere. Non riuscendo a sopportare oltre il dolore, Gisèle sfilò le scarpe e le scagliò a terra, corse verso il letto, si infilò sotto le coperte e iniziò a piangere. Pianse a lungo, mentre le lancette dell'orologio si stringevano come forbici a tagliare inutili pezzi del mattino.
La mamma rientrò quando l'orologio segnava le dodici e trenta. Portò in casa l'odore delle viti e del mondo di fuori.
«Gisèle, come stai?» domandò sedendosi sul bordo del letto e poggiandole la mano fredda sulla fronte. «Perché stai piangendo? Hai dolori?»
«No» disse Gisèle asciugandosi le lacrime con il braccio.
«Allora cosa succede? Cosa c'è che non va?»
«Le scarpe.»
«Beh?»
«Le scarpe… Le scarpe nuove. Non mi entrano più.»
«Ah, non farne un dramma» disse la mamma alzandosi in piedi. «Stai crescendo, è una cosa bella, e avrai prima o poi scarpe nuove. Le tue scarpe non riescono più a contenere i tuoi piedi. Succede.
Questa è una storia di fantasia
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