Della prima ragazza che papà aveva portato a casa invece non ricordo nemmeno il nome, ma l'espressione che fece quando mi vide sì, quella la ricordo bene. Lei mise le mani avanti, le usò come scudo contro l'immagine del mio corpo inerme steso sul letto, disse: «No, io no capito, scusa!», scoppiò a piangere, affondò il viso tra le mani unite. Dissi: «Papà, non è il caso, accompagnala fuori.»
«Eh, ma s'è già presa cento euri 'a signorina!» obiettò lui.
«Non importa papà, riportala dove vuole lei.»
«Ma io je l'avevo spiegata 'a situazione, che cazzo!»
La ragazza si asciugò le lacrime, si avvicinò, mi avvolse in un odore dolciastro, disse: «Io no capito, scusa, no capito! Perdona me.»
«Non fa niente,» assicurai, «capisco, dài, vai pure.»
La ragazza senza nome mi accarezzò la fronte, mi poggiò sulla pelle un bacio leggero, scomparve fuori dalla porta. Papà fece spallucce, affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, si congedò a testa bassa. Mamma si avvicinò con un fazzoletto di carta, disse che il segno del rossetto mi era rimasto sulla fronte, la pregai di lasciarlo ancora lì. La mattina successiva Aldo, l'assistente domiciliare, mi fece specchiare, disse: «Vedo che te sei divertito ieri, eh?»
«Non è mica un bacio, è una ferita» dissi.
«Ma nun dì fregnacce!» rispose Aldo ridendo. Con un panno umido mi pulì la fronte.
Tempo dopo papà portò in camera mia una certa Barbie, una tipa non molto giovane. Il trucco azzurro intenso intorno agli occhi, l’arancio sulle labbra, rendevano ancora più antica la sua pelle. La cicatrice sulla mandibola, procurata forse da un problema ai denti, le rendeva il viso asimmetrico. Durante il sesso tenni gli occhi chiusi. Barbie produceva gemiti finti, mi carezzava in modo teatrale, mi palpava i fianchi.
«Qui mi senti?»
«Sì, hai le mani gelate» dissi. «Non posso muovermi, ma sento tutto, ovunque.»
Barbie guardò l’orologio, si rivestì senza parlare, si congedò solo con un ciao rauco e sussurrato.
Questa è una storia di fantasia
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