Nonostante le insistenze della nonna, escludeva l'ipotesi di disfarsene: «È una sveglia bellissima, perché dovrei buttarla via? Apprezzala per quello che è.»

Ora comprendo che certe vite, e soprattutto la mia, sono proprio come la sveglia del nonno: gli ingranaggi si rompono e il tempo si ferma sui ricordi migliori. Vite che non sanno più segnare il tempo, arenate in una gioia, e che devi imparare a guardare e apprezzare per quello che sono state, non per ciò che saranno.

 

Spedirò questa lettera dall'aeroporto perché fino all'ultimo ho bisogno di compiere un gesto che sia rivolto a te.

 

Proprio ieri nel salone di ricevimento dell'hotel ho visto una bambina che teneva la mano del padre. Assomigliava incredibilmente a te, forse solo perché continuo a vederti riflessa in ogni figura femminile. Ho immaginato che quella bambina fossi davvero tu, tanti anni prima di incontrarci, una sorta di sfasamento spazio temporale, e ho sperato che la serenità di quel volto infantile fosse davvero tua, per sempre. Voglio saperti al riparo da ogni dolore.

 

Questa storia della veggente non te l'avevo mai raccontata perché non mi sembrava importante, almeno fino a questi ultimi giorni. La veggente mi aveva inquietato, riuscendo non so come a infrangere lo scetticismo che da sempre mi proteggeva, un po' come se avesse gettato una pietra nel placido stagno delle mie certezze. Mi ero allontanato da lei in fretta e, camminando veloce verso il binario, mi ero scontrato con una donna facendole cadere la borsa a terra. Non riuscii neppure a chiederle scusa perché il suo sguardo mi prosciugò la voce. Poi il suo sorriso spezzò gli imbarazzi e iniziammo a parlare come se ci conoscessimo da sempre, e quello che desiderai in quel momento fu che quel dialogo non terminasse mai. Ricordi? Quella eri tu. È proprio così che ti incontrai, avendoti già perduta.

arrow_back_ios3/3arrow_forward_ios
menu_bookCondividi su FacebookCondividi su WhatsApp