Solo pochi giorni fa suonavo il pianoforte nella mansarda, in compagnia di quei pochi amici complici dei nostri inganni, e tu mi abbracciavi da dietro: eri un peso caldo sulle spalle, una guancia premuta contro la mia, il suono pieno di ogni tasto sul quale cadevano le dita e i respiri, l'ipotesi di una nuova vita.

 

Ho fatto un paio di telefonate. L'azienda mi ha accordato la possibilità di non tornare più qui a Madrid: quelli dell'amministrazione non hanno sollevato obiezioni, così almeno non correrò il rischio di riviverti ancora nelle strade, nei bar, nei profili dei palazzi. Tu e questa città sparirete dalla mappa della mia esistenza. Ancora una volta torneremo nelle nostre famiglie come se niente fosse, con un segreto conficcato nel petto, una gentilezza sguaiata per tamponare i sensi di colpa, un pentimento talmente grande da perdonare ogni tradimento da noi perpetrato. Torneremo alle nostre vite stabilite, predefinite, benedette, approvate, omologate, sicure. Torneremo al nostro ruolo di coniugi fedeli, di genitori apprensivi, ora forse anche ravveduti e revisionati. Resteremo sintonizzati per qualche tempo su una comune malinconia, poi troveremo il modo di archiviare questa storia nei ricordi, o forse negli errori da non commettere mai più. Ci incontreremo in qualche vaga nostalgia nei giorni di festa, quando ti cercherò sul bordo di un calice di vino, o nella carta appallottolata dei regali di Natale, o tra le vele all'orizzonte di una noiosa vacanza al mare. Sarai sempre a un passo da me: un fantasma muto nei miei giorni sprecati; sarai seduta accanto a me durante i viaggi d'affari, nelle file agli sportelli, nelle inevitabili solitudini che la professione mi impone. Io invecchierò e tu, nel tempo immobile della mia nostalgia, resterai giovane.

 

Mio nonno teneva una sveglia rotta sulla cornice del camino, ferma da molti anni sulle tre e un quarto.

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Questa è una storia di fantasia
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