Ada non chiedeva mai nulla, senza distogliere lo sguardo dalla tivù faceva un cenno con la testa e mi lasciava libero. Mi infilavo in certi locali dove ogni sera sperimentavo liquori e donne diverse, come se ognuna di loro fosse la tessera di un puzzle della mia donna ideale. Ma, per quanto volessi nobilitarle, erano quasi tutte puttane, tranne una che per qualche giorno mi aveva regalato una parvenza di amore e che poi, prima di sparire, mi aveva sussurrato all’orecchio: «Salvati.»
Tornavo a casa tardi. Trovavo Ada addormentata su libri di botanica e riviste di fiori. Mi buttavo sul divano per smaltire la sbornia, mi svegliavo con l’impressione di soffocare, bevevo un caffé e uscivo sul terrazzo a fumare. Lì c’erano sempre nuovi vasi di fiori, sacchi di terra nell’angolo, buste di semi, attrezzi da giardinaggio. Ada era sempre più ossessionata dai fiori: c’erano quadri di fiori appesi alle pareti, libri sulla coltivazione dei fiori, DVD con documentari sulla coltivazione dei fiori.
Una notte di novembre mi ritirarono la patente per guida in stato di ebrezza. Sequestrarono l’auto. Il mio lavoro era da sempre l’unica fonte di sostentamento. Ada disse: «In qualche modo faremo», mi lasciò da solo in salone e se ne andò a dormire senza aspettarmi.
Non avendo da lavorare, passavo intere giornate al bar. Bevevo finché i problemi non diventavano un pensiero inconsistente. Avrei dovuto preoccuparmi di riprendere l’attività con il taxi, ma preferivo lasciarmi scivolare nella voragine sempre più grande che avevo dentro.
«Vendono questo terreno,» disse Ada mettendomi davanti il giornale degli annunci, «potremmo acquistarlo.»
«Per fare cosa?»
«Per coltivare fiori!»
«Mi sembra una follia» dissi.
«Lo è anche guidare un taxi ubriachi di notte» disse lei.
Quella sera parlammo a lungo. Non furono le parole a convincermi, ma l’istinto. Avevamo qualche soldo da parte, però non era sufficiente. Non avevo desideri, né obiettivi.
Questa è una storia di fantasia
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