Tua madre aveva quel tipo di voce strascicata degli eroinomani, la pelle del viso tesa su punte d'osso, la bocca simile a un taglio sul cuoio. L’invitai ad entrare. Il suo cappotto portava in casa l'odore freddo dell'aria invernale. Stavo per sollevarti dal divano quando tua madre disse: «Avete un pianoforte!»

Mi voltai, si era tirata i capelli dietro l'orecchio, fu la prima volta che la vidi sorridere. Mi avvicinai a lei. Aveva una luce diversa negli occhi.

«Ho sempre desiderato un pianoforte» disse. «Vorrei tanto che mia figlia imparasse a suonarlo. Posso?»

«Ma certo.»

Tua madre si sedette al pianoforte, con una ingenuità quasi infantile suonò poche semplici note: Do Do Re Re Mi Sol. Suonò la melodia tre volte, poi tirò via la mano dai tasti come se l’avessero sorpresa a rubare qualcosa: «Scusatemi, è davvero tardi. Togliamo il disturbo.»

Lei non riusciva nemmeno a tenerti in braccio, così ti avvolsi in una coperta e ti portai fino nel tuo letto.

 

Quando giorni dopo tornasti in casa mia, decisi di insegnarti qualcosa. Fu un’idea spontanea quella di farti suonare la melodia di tua madre: mi si era ficcata in testa, non avrei saputo immaginare sul momento nulla di più semplice e nello stesso tempo carico di un qualche significato. Così con il tuo piccolo indice suonasti le note che ti suggerivo. Da quel giorno venisti a pranzo quasi sempre da noi, con grande dispiacere delle altre famiglie, perché ti eri innamorata del pianoforte.

Ora lo sai. Quella che suoni alla fine di ogni concerto è la melodia che compose tua madre, quasi per istinto, mentre tu dormivi sul divano e il mondo le crollava addosso. Con quelle poche note forse sperava di salvarti. Credo lo abbia fatto.

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