Davanti a me ho solo tre riquadri in diagonale, poi il muro.

«Ah, Federica, dimenticavo la regola più importante di questo gioco. Qui gli scacchi non si mangiano, ma si abbracciano, okay?»

«Okay. Tanto non mi prendi!»

Sorride e avanza di un'altra L fino a una grande finestra.

«Federica, non voglio vederti triste. Insieme possiamo sempre trovare una soluzione, lo sai, vero?»

Federica non risponde, procede avanti di un’altra L, il mio andamento è un vero e proprio zig zag.

«Che cavolo state facendo?» dice una voce infantile alle nostre spalle. Ci voltiamo. È il re biondino.

«Stiamo giocando. Io sono l'alfiere e lei il cavallo.»

«Ma che scemenza!»

«Un gioco non è mai una scemenza!»

«Sì che è una scemenza. E poi lei più che un cavallo sembra un asino!»

Il re biondino scoppia a ridere curvandosi all'indietro. Federica si immobilizza, fa un passo avanti, rimane imprigionata in un'altra breve esitazione, si scongela, muove un altro passo e quadrato dopo quadrato trasgredisce tutte le regole del cavallo: riempie il corridoio di un rumore di scarpe dure e procede dritta assumendo tutti i privilegi di una regina. Giunge davanti al biondino: «Ripeti se hai coraggio!»

«Sembri un as...»

Il ceffone di Federica interrompe ogni comunicazione.

«Federica!» grido. La mia voce si perde nel fondo del corridoio. Federica mi guarda, ha le labbra strette, si volta di scatto e sparisce nella porta. Il biondino si tiene la mano sulla guancia, rimane immobile, mi guarda forse in attesa di consolazione. Scopro che ha gli occhi azzurri. Gli passo davanti, gli accarezzo la testa e sussurro: «Ciao biondino. Mi spiace tanto. Scacco matto!»

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