«Lascia fare a me» disse Michela, che si era fatta già più seria. Tirò fuori dalla tasca della divisa un fazzoletto e lo strofinò sull'alone della stoffa dei miei bermuda.

«Mi dispiace, non volevo sporcarti. Era solo un gioco.»

«Lascia stare» le dissi ritirando la gamba. Michela, che era rimasta accucciata, mi guardò dritto negli occhi e disse: «I bambini nascono dalle mamme e dai papà, non è vera questa storia delle cicogne, non lo sai?»

No, non lo sapevo, qualcosa mi si aggrappò in gola, dissi: «Certo che lo so!»

«I tuoi genitori dovevano essere molto belli.»

«Che ne sai tu dei miei genitori?»

«Come che ne so? Ce li hai negli occhi, come tutti.»

«Chi te lo ha detto?»

«Me lo ha detto suor Teresa. Ha detto che anche mia madre doveva essere molto bella. Guarda!» disse alzandosi di scatto e indicando i propri occhi. Li guardai quegli occhi, e caddi in un brivido, ma dissi soltanto: «Ho capito» e abbassai lo sguardo.

«Allora, mi sposerai o no?»

«Non lo so» dissi, «vedremo.»

Avevo fretta di risolvere alcune cose, mi allontanai di corsa. Tornai nel settore maschile, attraversai il campo dove i miei compagni giocavano a pallone, attraversai l'odore di bouganville emanato da un muro di petali viola, studiai la posizione di suor Maria e suor Beatrice, lontane sui bordi del cortile, affinché non mi vedessero rientrare nell'edificio.

 

Nel bagno della camerata tolsi i pantaloni, li stesi sulla panca, presi una spugna, la inumidii sotto il rubinetto, la strofinai finché l'alone bianco non cominciò a sparire nei punti in cui la stoffa si bagnava e si faceva più scura. Mi avvicinai al lavandino per strizzare la spugna, là c'era uno specchio. Salii su un piccolo sgabello. Mi affacciai con lentezza sul mio riflesso, con la stessa prudenza che avrei usato per affacciarmi sull'orlo di una voragine, mi guardai negli occhi e per la prima volta, nel cerchio perfetto dell'iride, incontrai mio padre e mia madre.

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Questa è una storia di fantasia
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