Mi sembrava una buona cosa che avesse un interesse da coltivare, ma avrei preferito altro. Da troppo tempo non curava più i capelli, li lasciava bianchi alle radici e spettinati. Indossava sempre abiti troppo larghi di stoffe a fiori, sembrava un cumulo di ossa in un sacco. Ora si dedicava a quell'animale come fosse l'unico accesso alla cura della propria anima.

 

L'indomani Rita fece le pulizie cantando. La casa profumava di detersivo, le finestre erano spalancate alla primavera. Accese la radio, cercò a lungo tra le stazioni finché una canzone di trent'anni prima non si diffuse nell'aria. Mi guardò e sorrise, forse consapevole che quelle note ci stavano sintonizzando su uno stesso ricordo. Sorrisi anch'io perché in quel ricordo ero stato felice.

Nel pomeriggio Rita telefonò di nuovo a nostra figlia, le spiegò che le cose con Cip non andavano come sperava, poi non so cosa altro si dissero perché da anni non ero più interessato alle piccole tragedie e preferii tornare nel salone.

 

Il sabato mattina la casa puzzava di bruciato. In cucina Rita piagnucolava e insultava un ciambellone carbonizzato.

«Buongiorno.»

«Buongiorno a te» rispose senza guardarmi. Versai il latte in una tazza e la misi a scaldare nel microonde. Rita disse: «Cip è morto. L'ho sotterrato ai piedi della quercia.»

L'allarme del microonde si sovrappose alle sue parole. Rita uscì dalla cucina senza guardarmi, non ebbi nemmeno il tempo di dirle che mi dispiaceva. La raggiunsi poco dopo in giardino, stava strappando i petali lividi delle rose.

«Tutto bene?» le domandai.

Lei piangeva, ma si sforzava di nasconderlo: «Sì, certo.»

«Dài, era solo un povero uccellino, non facciamone un dramma!»

«Ma tu cos'hai al posto del cuore? Una scarpa vecchia, eh? Un mattone? Una scatola di ceci, dì la verità!»

Mi avvicinai, le dissi: «Perdonami, non volevo sminuire i tuoi sentimenti.»

«Ah no? Possibile che non vedi come siamo diventati?

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Questa è una storia di fantasia
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