I medici avevano deciso di far nascere Celeste due mesi prima del termine a causa di un preoccupante arresto di crescita. Ci spiegarono che la bambina non stava crescendo regolarmente e lasciarla nella pancia l'avrebbe esposta a gravi rischi. Io ed Elena non sapevamo nulla di bambini prematuri. Consultammo ginecologi e neonatologi, sebbene leggermente in disaccordo sulla data del parto programmato, erano tutti concordi nel sostenere che le attuali tecnologie mediche avrebbero favorito senza particolari problemi la nascita di Celeste. Era quindi previsto un periodo non breve di permanenza in una Terapia Intensiva Neonatale, o TIN come la chiamavano loro. Non potevamo fare altro che affidare le nostre speranze alla scienza; del resto la medicina utilizza spesso tarocchi più suggestivi di quelli di un mago.

 

Subito dopo il parto cesareo, Elena fu lasciata per qualche ora in una piccola stanza per i consueti controlli post operatori. La trovai distesa su una barella ancora stordita dall'intervento.

«È bella. È piccola, piccolissima» sussurrò lasciandosi sfuggire una lacrima. Poi mi raccontò più volte, con lo stupore incantato di chi ha assistito a rari fenomeni astrali, che il ginecologo le aveva mostrato Celeste, che era raggomitolata nel palmo di una mano. La piccola aveva emesso solo un gemito, poi i medici avevano dovuto intubarla perché non riusciva a respirare da sola.

Giunse un’infermiera, interruppe il nostro discorso, disse: «Scusate, purtroppo in TIN non ci sono posti liberi a sufficienza, dobbiamo trasferire Celeste in un altro ospedale.»

«E dove?»

«I colleghi sono al telefono, ve lo faremo sapere presto.»

«Possiamo vederla, la prego!»

 

Poco più tardi alcuni paramedici varcarono la porta spingendo una incubatrice portatile. Tra loro spiccava il giubbotto arancio fluorescente dell'autista dell'ambulanza.

«Questa bellissima bambina è Celeste.»

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