Il fioraio mi regala piccoli mazzi di “nebbiolina” e di “verde”, come lui chiama rispettivamente certi sottili rami carichi di piccole e soffici palline bianche e altri dall'aspetto felciforme. Accorgimenti che donano al vaso notevole eleganza.

 

Elena butta via i miei fiori, li sostituisce con i suoi. È una storia che va avanti da un paio di anni, ne ho avuto certezza solo qualche mese fa cogliendola in flagranza. Non riuscivo a spiegarmi infatti per quale motivo, tornando anche l'indomani, i miei fiori non fossero più nel vaso. Ho visto Elena gettarli nei bidoni dell'immondizia, non ancora appassiti e con tutta la nebbiolina e il verde di contorno. Li gettava con un'espressione schifata, quasi tenesse per la coda un gatto morto spiaccicato. Ho preferito lasciar correre. Nei suoi confronti ho il cuore disinnescato: non riesco più a provare rabbia, odio o rancore.

 

La tomba di Celeste mi ha piantato alla terra. Non potrò abitare il mondo in altro luogo diverso da questo. Più di qualche volta sono stato tentato di lasciare l'Italia e andarmene dall'altra parte dell'oceano per inventarmi una vita nuova o semplicemente per guardare il mondo da un'altra angolazione. Ma non lo farò mai, non potrei vivere senza portare fiori a Celeste, soprattutto senza passare qualche minuto in silenzio davanti alla sua quotidiana morte.

Non prego mai. A volte per istinto faccio il segno della croce, un gesto compulsivo privo di fede. Una preghiera vera e propria non l'ho detta più da quando Celeste è morta. Prima di andare via bacio i polpastrelli e passo la mano sulla foto fredda di Celeste.

 

Elena mi cacciò fuori da casa circa tre anni fa. Tornando dal lavoro trovai le valigie sul pianerottolo e un biglietto con la scritta “vaffanculo tu e il tuo cane”. Tra i bagagli c'era anche Napoleone, legato con il guinzaglio alla maniglia della valigia più pesante.

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Questa è una storia di fantasia
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