Solo a quel punto avrò paura che sia il mio odio ad averti ridotto così, che il mio odio ti sia scivolato sotto la pelle, che ti abbia inquinato il sangue come una discarica sul fiume, che sia il mio odio la tua malattia.

 

Altri 140 chilometri e tornerò da te. Sarà Natale, i nipoti ti abbracceranno, guarderai i loro disegni per l'ultima volta. A sera sfoggerai la solita arroganza, litigheremo, sarò feroce, non avrò pietà, mi insulterai, ti insulterò. Farò le valigie a tarda notte, gli altri mi impediranno di partire. La mattina mi chiederai scusa, un abbraccio veloce e rigido: sarà l'ultimo. Non vedrai mai crescere i tuoi nipoti, loro conserveranno di te solo un vago ricordo. Le cose andranno proprio così, pa'.

 

Scoppierà una pandemia, ci chiuderanno nelle case, non ci vedremo mai più. La tua voce svanirà al telefono, giorno dopo giorno. Riceverò bollettini quotidiani sul tuo progressivo declino dalle persone che ti assisteranno. Trascorrerai giornate steso sul divano, avrai bisogno di bombole di ossigeno, non accenderai più il televisore, avrai il viso gonfio e deformato dal cortisone, il corpo sempre più magro, la debolezza farà sembrare i tuoi arti disossati, dormirai e ti allenerai alla morte. Al risveglio ti mancherà l'aria, ti agiterai, cadrai dal divano, ti strapperai l'ago della flebo, saprai solo strisciare ansimando. Avrai freddo, bestemmierai. Ti troveranno rifugiato sotto al letto della camera, non saprai spiegare, avrai la mente offuscata. Non riuscirai più nemmeno a bestemmiare, avrai solo sapore di ferro in gola e conati di vomito. Un'ambulanza ti riporterà in ospedale. Le cose andranno proprio così, pa'.

 

Una telefonata mi sveglierà a tarda notte, una voce griderà che sei morto. Romperò la quarantena, 140 chilometri e sarò da te, viaggerò nel buio, paesi distanti saranno briciole di luce sparse su un velluto nero.

L'Aquila. Notte. Buio.

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