Mi affiderò al disordine dei fogli sparsi sulla scrivania per scardinare la netta precisione della condanna che mi verrà riferita. A certi annunci si addicono la luce al neon, una stanza vuota e anecoica, nessuna finestra e pareti bianche. Tornerò accanto a te con un segreto ingombrante, ci scambieremo gli occhi: avrò io quelli di un padre, tu quelli di un figlio. Ci saluteremo come soldati che si danno il cambio alla guardia, schiverò i tubicini delle flebo, schiverò il tuo sguardo, sintonizzerò la tivù muta su un canale di documentari e uscirò in fretta dalla stanza. Resterai a lungo in ospedale, pa'. Nei giorni successivi sentirò la tua voce sbiadire al telefono, avremo poco da dirci, useremo la reciproca impazienza riservata alla pubblicità dei call center. Le cose andranno proprio così, pa'.
Altri 140 chilometri e tornerò da te. Ci accomoderemo davanti alla grande scrivania di uno studio luminoso, io sul lato più estremo. Un giovane medico ti prenderà la mano con dolcezza, sapremo già tutti quello che avrà da dirti. Resterò distante da te e dagli altri. Avrete espressioni troppo facili da prevedere, staccherò lo sguardo dalle vostre facce, mi volterò verso la grande finestra, volerò in un rettangolo di panorama assolato. Le valli saranno inondate da una luce calda e limpida, le montagne dovranno sostenere il peso di un azzurro immenso. Mi domanderò se da qualche parte del mondo ci siano ancora feste in corso, se in quel momento ci siano persone che ridono, se lo studio del medico sia un buco nero dell'Universo, fuori dal tempo, fuori dagli intrecci dei destini, un'istanza distorta della realtà.
Cercheranno cellule nei tuoi polmoni, molecole nelle tue viscere, le sonde ti arriveranno quasi all'anima. Sarai trasferito a Teramo. Circa 200 chilometri e sarò da te. Attraverserò la notte perenne che buca il Gran Sasso: sarà la stessa che mi scava dentro da anni.
Questa è una storia di fantasia
© Tutti i diritti sono riservati.