Zitto
Un giorno ho pensato che avrei fatto bene a stare zitto. Zitto ho attraversato un ponte, poi una piazza, infine un mercato. Zitto sono rientrato a casa, ho acceso la tivù e l'ho silenziata, così le facce che parlavano e che discutevano stavano zitte. Mi sono addormentato. Sono stato zitto anche nei sogni. L'indomani, zitto, sono andato a lavorare. Le persone intorno a me, vedendomi in silenzio, sono state zitte pure loro e tra loro. È stato evidente, già dopo qualche giorno, che in fondo non c'era davvero mai nulla da dire, che le parole erano sempre superflue, che bastavano un gesto, uno sguardo o un sorriso per dire quello che si voleva dire.
Intorno a me, giorno dopo giorno, aumentavano le persone zitte. Ho attraversato il ponte, il rumore del fiume si era sostituito al vociare delle persone; nella piazza dominava solo un concerto di fruscii di vento e battiti di ali; al mercato i venditori avevano smesso di gridare e indicavano il cartello dello sconto con il dito, senza fiatare. La folla nelle strade si muoveva in totale silenzio e rientrava zitta nelle proprie case. Non solo ogni persona, ma ogni cosa aveva imparato a tacere. Taceva perfino il mare, che tratteneva le onde; tacevano gli uccelli, che migravano senza nemmeno un fruscio; tacevano i vulcani con l'ultimo rutto in gola.
Un giorno c'è stato talmente tanto silenzio che si udiva il pianto dei bambini appena nati al di là dell'oceano: loro non sapevano ancora tacere e piangevano una nuova vita. Alla fine, sazi di latte, hanno imparato a tacere pure loro. Di notte sulle calotte polari scricchiolava lo sbrinamento dei ghiacciai e crepitavano le fiamme delle stelle e per la prima volta il canto d'amore di un pesce degli abissi emergeva dalle maree. Poi nemmeno più tutto questo: nell'arco di alcuni giorni il mondo intero taceva nell'eterno silenzio dell'universo. Siamo stati così zitti che è stata zitta pure la guerra e sono stati zitti i soldati e gli aerei e i missili.