Il quinto piano del palazzo della vita è affollatissimo e ci sono le persone come me, che trovano pace solo nel masticare la gioia della vita, privilegio che forse solo la povertà potrebbe negarti, o che a volte viene interferito da quel senso di colpa improvviso e insopportabile che ti ficca le dita in gola per vomitare la gioia in eccesso. Il quinto piano è quello dove staziono da più anni, anche perché scendere ai piani inferiori significherebbe non riuscire più a trovare salvezza nemmeno nel cibo e non ci voglio pensare a quanto sia terribile il quarto piano, il piano delle diete, il piano delle verdure lesse, del petto di pollo a bagno maria... No no, non ce la posso fare. E poi addirittura i piani più bassi, dove non c'è più nemmeno la fame, ma anzi ci si lascia mangiare dal tempo e dalla vita e si diventa pelle e ossa in anticipo sulla morte. Chi mai lo può capire?
Il pub è pieno di gente, il volume della musica è alto, gli amici mi riconoscono e mi salutano, mi siedo al loro tavolo e, come sempre, arrivano pacche sulla spalla e cominciano con questa storia che devo assolutamente cantare perché ho una voce straordinaria e dico che no, non ho voglia di cantare stasera perché ho in testa questa storia dei piani alti e bassi, che forse mi ha preso un po' troppo, lo ammetto, e loro insistono e questo mi turba, mi sento scivolare giù, forse verso il piano terra, come fossi rimasta nell'ascensore con quella signora che guardava la mia bocca sporca di cioccolato, il mio senso si colpa all'angolo delle labbra, e invece - non so nemmeno come - mi ritrovo con il microfono in mano sulla pedana e tutti che mi guardano e il tizio che mette le basi del karaoke mi chiede cosa voglio cantare e gli amici che battono le mani e tutti in coro, quasi fossero sugli spalti di uno stadio, mi incitano: «Sa-rot-ta! Sa-rot-ta! Sa-rot-ta! Sa-rot-ta!»