Luciano piangeva, ora che non aveva più il ciuccio il suo pianto era più intenso del solito, echeggiava nella tromba delle scale, penetrava nelle ossa, disponeva aritmie cardiache. Abbiamo provato a rasserenarlo, ho sintonizzato la tivù sul suo canale preferito, non c'era verso di spegnere il suo pianto che era una vera trasfusione acustica di disperazione. Verso sera, quando eravamo stremati e senza più speranze, qualcuno ha suonato alla porta. Ho aperto, un'ombra alta ha detto: «Buonasera, dove sta il bambino?»

Clara ha acceso la luce del pianerottolo, l'ombra alta era il cecchino. Ho deglutito senza trovare le parole e sono stato assalito dal senso di colpa di non aver messo a tacere Luciano, o di non aver portato la mia famiglia in un posto sicuro dove Luciano potesse piangere lontano dalle orecchie dei vicini, perché avrei dovuto prevedere che il cecchino, infastidito da quel pianto interminabile, sarebbe sceso al nostro piano, nascondendo un mitra sotto il cappotto, per fare una strage e tornare a dormire sereno, nel più totale silenzio sotto le coperte.

«Dove sta il bambino?» ha ripetuto il cecchino. Clara ha balbettato qualcosa, Luciano, ancora in lacrime, si è affacciato. Il cecchino ha infilato la mano nel lembo del cappotto, ho chiuso gli occhi e ho sospirato immaginando la mitragliata che ci avrebbe steso tutti al suolo in un lago di sangue. Immaginavo i titoli dei giornali, le foto della strage.

«Tieni bello, questo è per te» ha detto il cecchino. Ho aperto gli occhi. Il cecchino mostrava a Luciano il blister con un ciuccio. Nessuno ha osato dire nulla, Luciano gli è corso incontro, ha preso il blister e poi ha abbracciato la gamba del cecchino.

«Gra... grazie» ho detto, «grazie per tutto quello che ha fatto.»

«Di nulla,» ha risposto il cecchino, «vi auguro una buona serata.»

Quando abbiamo chiuso la porta, il piccolo Luciano aveva già smesso di piangere.

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Questa è una storia di fantasia
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