Ma, sorvolando le fuorvianti questioni filologiche, ciò che a noi preme qui confermare è il legame inevitabile che ogni gruppo di remakes intrattiene col proprio genere d’appartenenza, così da poter valutare quanto l’evoluzione del genere stesso influisca sui soggetti e viceversa. Ed è questo un altro motivo per cui il nostro non sarà un confronto limitato a stabilire le differenze, qualitative o strutturali, tra un film e i suoi rifacimenti, quanto una comparazione piuttosto ampia in grado di delineare i meccanismi di stratificazione dei soggetti all’interno dei diversi generi cinematografici, e comprendere così se il remake di un film western, ad esempio, subisca le stesse influenze del rifacimento di un film comico, o di fantascienza e così via.
Siamo chiaramente nel campo della ripetizione, dicevamo, che coinvolge tutta l’arte contemporanea in generale, ma che nel cinema assume una valenza particolare, soprattutto perché il film non dipende esclusivamente da una poetica d’autore, ma pure da tutta una serie di vincoli economici, produttivi, ecc., di cui si è sempre parlato in abbondanza.
Roberto Nepoti scrive:
Lo “statuto” del remake compie – quasi regolarmente – alcune selezioni di principio. Dal punto di vista della struttura, esso privilegia marcatamente il film a diegesi forte: in pratica, il film che racconta una «storia» solidamente costruita. Perciò la sua azione si esercita di preferenza: – nel campo dei «generi»; – nella riproposta dei film a grosso budget produttivo
[…]
; – nelle trasposizioni cinematografiche di opere letterarie o drammatiche a priori fornite di consenso dalla disposizione di attesa del pubblico (7).
Dunque il remake consiste principalmente nel riprendere, con variazioni più o meno vistose, un soggetto, una sceneggiatura del passato, più in generale un storia, scelta proprio in quanto già nota. A proposito scrive Giorgio Tinazzi:
C’è qualcosa accanto al cinema
[…]
, ed è il racconto.