Truffaut nel filmare le imprese di Beltrand Morane, uno “stallone” ossessionato dalle donne, «lo avvicina e lo allontana dalla sua cinepresa: ora sembra identificarsi con lui e ora, a bella posta, lo costringe all'isolamento» (11). Gli espedienti usati da Truffaut per attuare questa oscillazione tra prima e terza persona sono molteplici, e finiscono per frammentare la trama. Inserti sull'infanzia, e il protagonista che si rivela narratore a sua volta quando, in un certo momento, lo si vede battere a macchina le vicende narrate nel film. Insomma, si tratta di un film molto difficile da rifare senza correre il rischio di stravolgerne le fondamenta. Difficile soprattutto ricostruire la complessità del personaggio centrale:
Lontano dal mito di Don Giovanni o di Casanova, estraneo com'è all'idea della “lista numerosa” e del “catalogo”, della collezione, che invece anima le figure dei grandi seduttori. I meccanismi che muovono Morane sono altri: la difficoltà dell'approccio, la cura dei dettagli, le fasi rituali della preparazione, la procedura indiretta dell'abbordaggio (12).
Il remake di Edwards, annullando tutti i rilievi dell'originale francese, ha l'effetto di uno schiacciasassi. Innanzi tutto restaura, o forse inventa, una continuità narrativa che, come dicevamo, non è per nulla presente in Truffaut. Tutti gli altri interventi di Edwards mirano invece ad un chiarimento psicologico del personaggio, o piuttosto a una semplificazione. Nel remake scompare quel gioco della narrazione attuato dal personaggio che scrive la propria storia, che invece qui è raccontata linearmente da una narratrice-psicanalista. Tutta la vicenda è basata «sulle differenti fasi della cura e sullo sviluppo del rapporto d'amore tra la terapeuta e il cliente». Il protagonista «ha motivazioni chiare (vuole guarire da una crisi di impotenza), attraverso la cura giunge a rivelazioni su se stesso (ricerca della donna ideale spiegata in base alle relazioni con la madre».