In questo caso il passaggio dal modello moderno a quello classico è pressoché indolore: lo spessore dei personaggi rimane invariato. Potremmo obiettare che gli esempi fatti finora siano validi solo nei confronti di commedie “leggere”, vale a dire quelle in cui anche i personaggi del film originale non emanano segni troppo evidenti di una complessa introspezione. Infatti i personaggi di Monicelli, e di conseguenza quelli di Malle, esprimono significato soltanto se letti come collettività, come sommario esemplificativo di un più generale elenco di disagi sociali; una simile espressione, come abbiamo visto, è costituita anche dalla famiglia Whiteman del film di Mazursky. In Su e giù per Beverly Hills assistiamo alla frantumazione del personaggio del prototipo originale (il libraio) in una serie di personaggi bidimensionali (i Whiteman) che orbitano intorno alla figura del capofamiglia.

Insomma, è il gruppo il vero protagonista, e il gruppo è costituito da figure che, prese per se stesse, si rivelano piuttosto piatte: ognuna di esse riveste il ruolo di uno specifico parametro. Variando questi parametri, “americanizzandoli”, si ottiene un personaggio-gruppo altrettanto efficace, pur se immerso in un diverso ambiente sociale. Questa pare dunque una formula di sicuro successo, priva di significative controindicazioni.

Tutto cambia e si complica se mettiamo in campo un altro esempio; ci riferiamo al remake di Blake Edwards I miei problemi con le donne (The Man Who Loved Women, 1984), versione americana del film di L'uomo che amava le donne (L'homme qui amait les femmes, 1977) di François Truffaut. Seppure si tratti di una commedia, L'uomo che amava le donne presenta una complessità determinata, in primo luogo, proprio dallo sguardo d'autore.

arrow_back_ios8/33arrow_forward_ios
menu_bookCondividi su FacebookCondividi su WhatsApp