È a questo punto che Mazursky applica tutte quelle caratteristiche che fanno del suo film un prodotto marcatamente americano, e soprattutto lo rendono un sensibile documento della vita dei neoricchi di Beverly Hills. «Il film procede serrato come un J'accuse leggero e graffiante, che riesce nell'intento di divertire, libero com'è da ogni facile moralismo». Eppure non trascura temi anche abbastanza difficili, soprattutto legati al problema dell'integrazione sociale. Pensiamo alla scena in cui un ricco iraniano regala a Jerry cinquecento dollari, semplicemente perché egli si è degnato di rivolgere la parola al figlio, isolato oltre il muro di cinta che separa le ville dei ricchi, «disturbati da troppo dorato isolamento». Pensiamo a quando Jerry, parlando con sincerità a Max, l'adolescente frustrato, lo convince a dichiarare la propria omosessualità ai genitori (6).

Insomma Jerry, personaggio «libero e anticonvenzionale», sconvolge completamente la vita della famiglia benestante in cui si inserisce e in questo, anche se velatamente e in via assolutamente involontaria, c'è un pizzico di Teorema pasoliniano; ma ora, senza voler tracciare ulteriori parallelismi che rischiano di rivelarsi coatti, possiamo affermare che il remake di Mazursky, da alcuni definito forse più giustamente come «pararemake» (7), non mantiene debiti troppo evidenti con l'originale francese, fatta eccezione per l'avvio della vicenda, costituito appunto dal tentativo di suicidio del vagabondo. Per il resto, i suoi personaggi appaiono tutt'altro che europei. Questo conferma quanto dicevamo all'inizio, riguardo la trasposizione della storia da modello moderno a modello classico, e del conseguente lavoro sul carattere dei personaggi.

arrow_back_ios5/33arrow_forward_ios
menu_bookCondividi su FacebookCondividi su WhatsApp