È così che Lang comincia a proporre quei personaggi ambigui, barcollanti tra la colpa e la pura innocenza, che avrebbero profondamente segnato anche il cinema di Hitchcock. Il taglio europeo della regia di Lang è evidente, soprattutto nella sua Bestia umana:
Lang gioca con la finzione sentimentale come ha fatto nelle sue convulse storie di spionaggio, ma questa volta il triangolo ha solide polarità letterarie e cinematografiche. Zola, certo, ma anche Il postino suona sempre due volte (1934) di James M. Cain, con le sue immagini di un'America desolata e fatale. La bête humaine di Renoir unita agli adattamenti del romanzo di Cain, da Le dernier tournant (1939) di Pierre Chenal a Ossessione (1942) di Luchino Visconti e The Postman Alway Rings Twice (1946) di Tay Garnet
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. Con tanto passato, la scelta stilistica di Lang è quasi obbligata. Ma quale realismo? Sicuramente non quello “poetico” di matrice francese, bensì un calibrato incontro dell'opzione italiana con la sobrietà della linea statunitense. Questo ci riporta a un'altra caratteristica di Lang, la sua straordinaria capacità mimetica (46).
Capacità mimetica, che forse è più giusto definire come capacità di adattamento. Ed infatti, nonostante le sfumature europee del film appena elencate, ci accorgiamo che Lang si concentra più sull'analisi dell'umanità tout court che non su precisi aspetti della società americana.
Il soggetto è sempre un pretesto per indagare la realtà umana e sociale dietro le apparenze, lungo il sottile confine del dubbio, dell'ambiguità, della polivalenza delle situazioni, delle contraddizioni. Semmai è da sottolineare il fatto che Lang, di film in film, abbandoni sempre più le regole della drammaturgia classica, rinunci ad approfondire psicologicamente i personaggi o socialmente le situazioni, per concentrare l'attenzione sulla meccanica del racconto, inteso come struttura portante d'una dimostrazione razionale della “irrazionalità” dell'esistenza (47).