Al contrario, tale pratica era frequentissima nel cinema delle origini: basti pensare alle differenti versioni, realizzate in pochi anni, di soggetti quali Il viaggio nella luna (Méliès nel 1902, Edison e Lubin nel 1903, Guy nel 1906 ecc.), La fine del mondo, L’inferno di Dante o Frankestein. (5)

«Il cinema è un'arte ruminativa», scrivono Consiglio e Debenedetti nel 1936, cogliendo con molto anticipo sulla critica contemporanea gli aspetti che determinano la coazione a ripetere.

Prima di tutto il cinema ha diritto di considerare a breve scadenza superati i film dei quali, esaurito in pochi anni il ciclo commerciale, non rimane che un titolo. Non che il pubblico dimentichi […] Ma in realtà non ha serbato che immagini confuse e generiche, ricordi di ricordi […]. In secondo luogo, quanto la moda è volubile e la tecnica vertiginosamente progressiva, altrettanto il sentimento rimane attaccato a certe costanti. […] Certe tipiche storie d'amore o d'altre passioni, hanno conservato oggi lo stesso prestigio che avevano ieri e l'altrieri. Logico pertanto che la massa sia ancora avida di ritrovarle in forme che non contraddicano ai propri bisogni attuali. (6)

In qualche modo questo spiega perché nell'epoca dei videoregistratori, e della riproducibilità casalinga del cinema, la pratica del remake può apparire priva di senso. Tuttavia non è possibile liquidare l'argomento con troppa semplicità. Oltre cent’anni di cinema ci insegnano, o almeno dovrebbero insegnarci, a valutare in modo diverso il remake pure se, come dicevamo, probabilmente in questa discussione non sarà mai pronunciata l’ultima parola.

Effettivamente le difficoltà di valutazione sono molteplici. L’industria cinematografica sforna in continuazione sia esempi di film nati esclusivamente e spudoratamente da esigenze commerciali, sia remake degni di rispetto e validi non meno dei loro prototipi originali.

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Questa è una storia di fantasia
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