Ma il discorso comparativo tra cinema USA e cinema italiano, offre il destro per un altro ragionamento, a mio avviso ancora più rilevante. In una cinematografia industrialmente, merceologicamente e culturalmente rispettabile, i dislivelli della qualità sono graduali di prodotto in prodotto, di filone in filone, di gruppo di film in gruppo di film. Ciò significa, sempre nell'esempio americano, che tra un grande film di Altman, California Split o Nashville, ad esempio, e dei prodotti non d'autore che si collochino addirittura nella zona medio-bassa della produzione, vi sono un legame profondo, somiglianze formali e tematiche notevoli, comuni appartenenze di genere e di tono; anche se poi la personalità dell'«autore» (laddove sia vi sia un autore e non solo un professionista) dà al tutto un diverso e più ampio registro. Tanto che difficilmente si potrebbe comprendere appieno il «cinema d'autore» statunitense ignorando il «background» del cinema di consumo che gli sta dietro (12).

Effettivamente in Italia, ma anche nel cinema europeo in generale, c'è una sproporzione incolmabile tra il film d'autore e qualunque altra espressione cinematografica. I film italiani di genere producono «da un lato la “degenerazione” dei generi, dall'altro la loro “deformazione”»; in questo modo «i due processi, probabilmente, sono concomitanti, e sono responsabili di una continua desemantizzazione (senza rinnovamento) dei generi stessi» (13).

Sotto questa ottica possiamo ritornare, ad esempio, a Per un pugno di dollari e comprenderne i pregi e i limiti relativi alla sua qualità di “film di genere”.

Per un pugno di dollari rappresenta effettivamente un rinnovamento di genere per il semplice fatto che riproduce in forma narrativa l'intero paradigma delle situazioni drammatiche del western riproposto in un sintagma. Le situazioni drammatiche ci sono tutte, e tutte in lista: semplicemente ingigantite, esagerate, eccessive.

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