Gianni Canova definisce questi rifacimenti come remake “nascosti”, nel senso che tentano di apparire originali celando il modello da cui provengono, ma forse l'aggettivo è più adatto a definirli nella loro tendenza a cadere nell'oblio. Si tratta infatti di produzioni a basso costo che, dopo aver nutrito rapidamente i botteghini, sperano di imporsi almeno come film di culto.
Spesso ai limiti del plagio, furtivo e gaglioffo, il remake-nascosto si va sempre più specializzando nell'imitazione del cinema d'azione americano, spremendo e dilatando al massimo gli effetti mitopoietici innescati da cult-movies internazionali come Interceptor e Fuga da New York. I maestri-artigiani del rifacimento indigeno camuffato si chiamano, è noto, Margheriti, Castellari, De Angeli, Fulci: veloci e professionali, lavorano di ricalco fino a portare un soggetto sulla soglia della saturazione per poi abbandonarlo e passare ad altro (9).
Il riferimento è ovviamente rivolto a quel filone sommerso del cinema italiano, il poliziesco, popolato da interpreti come Maurizio Merli e Thomas Millian: l'uno più rappresentativo dell'aspetto serioso del filone, l'altro più noto per l'inclinazione parodiante del poliziesco e del «giallo all'italiana». Difficile contare tutti i registi che, soprattutto durante gli anni Settanta, si cimentano in questo contesto.
I titoli dei film sono molto caratteristici. Fernando Di Leo realizza La mala ordina, Il boss, Milano calibro 9, Gli amici di Nick Hezard; Umberto Lenzi, nel 1974, gira Milano ordina la polizia non può sparare, che alcuni considerano il film più violento del poliziesco italiano, e per questo mai passato in televisione. L'interprete principale è Thomas Millian, in una delle sue non rare performance drammatiche.