Sono proprio questi gli esempi che incoraggiano l'industria italiana ad intraprendere la produzione dello spaghetti western, senza sospettare che il filone sarebbe riuscito a conquistare delle sfumature fortemente nazionali, e grazie soprattutto a Sergio Leone.
Ciò che ci interessa sottolineare, comunque, è che pur importando un determinato genere cinematografico, Leone e compagni preferiscono pescare i soggetti nei contesti più diversi, piuttosto che appropriarsi di quelle trame a cui il filone americano è già abituato. Questo dipende molto dallo stravolgimento attuato da Leone. Nei sui film scompaiono gli indiani, e già questo determina l'esclusione di almeno il novanta per cento dei soggetti americani su cui poter edificare un remake. «L'assenza degli indiani sancisce l'affermarsi di un percorso dell'azione più individualistico che antagonistico, per cui è indispensabile abolire tutti gli elementi della contingenza storica» (5)
In fondo, nei western di Leone una vera e propria storia non c'è, e quello che vediamo compiersi sullo schermo non è che un rituale di estinzione della colpa, una “catarsi” puntuale. I personaggi del nostro western sono tipizzati fino all'esasperazione, marmorei nella loro ineluttabilità come le maschere del teatro kabuki giapponese e, al limite, privi di una reale finalità (6).
Lo spaghetti western assomiglia in qualche modo ad una partita a scacchi, dove tutte le possibilità sono determinate sempre da movimenti obbligati.
Possiamo affermare, in modo semplicistico, che ogni genere cinematografico, dati i suoi elementi caratterizzanti, contiene un “soggetto latente” determinato da tutta una serie di potenzialità vincolate.
Tutto questo coincide con la più nobile definizione di “grande forma” fornita da Gilles Deleuze (7). La grande forma presuppone una determinata situazione, dei personaggi con determinate caratteristiche, una certa azione ecc.