Dal conformismo provinciale con le sue piccole cattiverie e meschinerie si è passati così al più impegnativo, scottante problema del razzismo e della xenofobia; tuttavia lo spunto narrativo di fondo resta identico tra i due film: un amore teoricamente impossibile quanto sincero tra i protagonisti viene violentemente contrastato dai pregiudizi dell'ambiente e dall'incomprensione dei figli, e rischia di soccombere di fronte a tanta ostilità (35).

Insomma, pur trattandosi di un remake rimane tuttavia un film dai connotati fortemente legati alla ben nota poetica di Fassbinder. La maggior parte delle variazioni sono votate al pessimismo più scoraggiante, che pervade l'intera pellicola, anche in quei pochi casi in cui la situazione dei due amanti impossibili sembra sul punto di ristabilirsi. Infatti, quando le persone che li emarginano decidono di riconciliarsi con i protagonisti, lo fanno solo per un freddo tornaconto personale. Questo spirito si evince perfettamente nel finale. Nelle ultime battute di La paura mangia l'anima si scorge l'enorme «distanza tra le due epoche e tra i due modelli cinematografici». Mentre in Secondo amore «l'incidente di cui era vittima Rock Hudson favoriva la riconciliazione tra i due protagonisti, in La paura mangia l'anima la malattia di Alì esplode subito dopo la riappacificazione con Emmi, negando in questo modo il lieto fine» (36).

Non si tratta tanto di pessimismo rispetto ai colpi avversi del fato: Fassbinder ci lancia un messaggio molto preciso, affermando che i guasti dello sfruttamento sociale […] sono più forti delle convenzioni di genere e minacciano irrimediabilmente un amore già sulla carta impossibile. I due film dunque si chiudono con un'inquadratura omologa (la donna al capezzale del proprio uomo) ma con un messaggio di segno quasi opposto.

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