Ho imparato a parlare un po’ la loro lingua che è in parte simile a quella dell'India, da dove sono venuti più di mille anni fa. Uno dei miei amici, un dottore di origine gitana, mi ha molto aiutato all'inizio. E' sempre stato con noi sul set, traduceva quando era necessario, dal serbo-croato, benché in generale gli attori parlassero serbo. Con Gordon Mihic, abbiamo sempre lavorato insieme. Ha scritto la prima versione della sceneggiatura che mi ha inviato a Sarajevo. Poi io ho steso la seconda che gli ho rispedito a Belgrado e così via fino alla quarta versione (24).

La lunga e complessa gestazione della sceneggiatura de Il tempo dei gitani rivela intenti lontanissimi da quelli che di solito si pongono alla base di un remake. Inoltre, stando alle parole dello stesso Kusturica è davvero difficile scorgere dei riferimenti volontari ai due film di Coppola.

Tuttavia il rapporto tra Kusturica e Coppola non è del tutto infondato, almeno nel modo in cui lo interpreta Andrew Horton.

La saga di Kusturica segue effettivamente una storia-soggetto molto simile, sotto certi aspetti, a quella de Il Padrino, e allo stesso modo predominano due elementi che fanno da cardine all'intera vicenda: gli affari e la famiglia. Il giovane Perhan, protagonista del film di Kusturica, è orfano di un soldato e di una zingara. Egli vive in una comunità Rom insieme ad altri parenti.

Proprio come il Michael Corleone di Coppola, anche Perhan è contraddetto tra l'affetto e la devozione verso la sua famiglia e la pressione che questa compie su di lui spingendolo negli “affari”, in questo caso consistenti in un losco traffico di bambini gitani storpi, nani, e di giovani donne destinate alla prostituzione al di là della frontiera italiana.

Perhan, rifiutato dai genitori della ragazza che ama, parte per l'Italia con lo zio e diventa il compagno delle sue attività criminali. Alla fine si vendica uccidendolo, ma muore anche lui per mano dell'ultima moglie dello zio.

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