È così che bruciava la breve memoria delle bombe cadute, che morivano persone, che intere famiglie sparivano dalla storia.
Seduti su sacchi di paglia, indossavamo vecchie coperte come mantelli e tenevamo i palmi sospesi sopra due secchi di latta pieni di brace, aspettavamo che il calore scendesse lungo le ossa. Il mondo tuonava nel buio. Ero un ragazzino, tremavo tra le braccia di mio padre: «Stai tranquillo,» mi sussurrava all'orecchio, «qui sei al sicuro.»
Era stato così per mesi, finché non arrivarono un frastuono e il crollo dei muri e il sapore di cemento sotto la lingua e la fine della mia infanzia e un fischio interminabile nelle orecchie. Il mondo continuava a tuonare indifferente a ogni dolore, ignaro della fine delle cose. Il cielo e la notte del mio paese avevano disimparato ogni altro suono.
Nella grotta mi sento al sicuro, proprio come un tempo tra le braccia di mio padre. Faccio luce con il cellulare, verifico che non ci siano pericoli. Un guaito emerge dal fondo della grotta, rivolgo nella stessa direzione il debole fascio di luce del telefono, due cani abbassano la testa, tremano, sono un pastore tedesco e un meticcio di piccola taglia. Si avvicinano e superata la diffidenza si lasciano accarezzare. Il più piccolo ha una targhetta sul collare, si chiama Teodoro, con il muso appoggia il suo tremore alla mia mano. Il pastore tedesco è forse un randagio, sembra vecchio. Ha il pelo pieno di palle spinose, una cicatrice sul fianco destro dove il pelo non ricresce più. Annusa i miei pantaloni.
Mi siedo a terra, appoggio la schiena alla parete di roccia. Respiro profondamente, rilasso le gambe. I due cani si accovacciano accanto a me. Poggiano i loro musi sulle mie cosce. I nostri cuori disordinati, protetti dal reciproco calore, si allineano a un battito più cadenzato.
«Tranquilli, qui siamo al sicuro.»
Teodoro mi lecca le dita, si accosta ancora più a me.
Questa è una storia di fantasia
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