La ragazza del chiosco dei pesci era giovane e molto truccata, sembrava odiare i clienti, le ho passato i soldi e lei mi ha dato un cestino con dieci palline da ping pong, alcune bianche, alcune azzurre. Le ho lanciate con tutta l’accuratezza possibile, ho seguito ogni parabola con una speranza, ma quasi tutte le palline sono rimbalzate sul bordo di vetro delle piccole ampolle. C’erano tutti questi pesci rossi, tutti questi meravigliosi pensieri in ostaggio, reclusi in piccole bolle di vetro. Il mondo tiene in ostaggio i bei pensieri e questo mi fa stare male. L’intelligenza ammazza i pesci rossi, non ne posso più. L’intelligenza degli uomini sta ammazzando la serenità degli stupidi. Un giorno fonderò un partito per i diritti degli stupidi e avrà come logo un pesce rosso. O forse no. Non mi interessa la politica. Anzi, la odio la politica, roba da intelligenti.

«Signorina, ma devo per forza infilare la pallina nell’ampolla?»

«E certo!»

«No, dico, potrei comprare direttamente un pesce rosso?»

«E certo!»

Che stupido a non pensarci subito! Ho complicato le cose come fanno gli intelligenti. Sono rientrato tardi con un pesce rosso nella busta trasparente, l’ho versato con tutta l’acqua nella bolla di vetro, lui ha preso subito a nuotare come se conoscesse quel posto da sempre.

«Ti prego, non morire troppo presto» gli ho detto. Per sicurezza ho lasciato cadere un pizzico di mangime nell’acqua. Le piccole scaglie colorate sono colate sul fondo. Il pesce rosso era spaesato, non aveva ancora appetito e non aveva ancora un nome. Ho cercato su Google “nomi per un pesce rosso”. Una lista lunghissima. Ho letto i nomi uno a uno. Credo di essermi addormentato quando sono arrivato a Einstein.

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