Tutti questi tagli, che comprendono l'eliminazione della figura femminile che Risi affida ad Agostina Belli, fanno del film di Brest un prodotto molto noioso, che affoga in lunghi primi piani, in sfasati ritmi di montaggio, per non parlare di altro: «la sequenza nel corso della quale Charlie cerca di togliere la pistola dalle mani di Frank è tanto esemplare quanto banale, brutta insopportabile», così come «la burlesca corsa in Ferrari, per le strade di New York, con la guida del colonnello cieco», che sfiora davvero il ridicolo (17).

Qualora il grado di semplificazione operato dai registi e dagli sceneggiatori americani dovesse apparire eccessivo, è forse il caso di aprire una breve parentesi sul musical, che rimastica i soggetti extra-americani con un'avidità sicuramente più devastante di quella della commedia.

Nel 1958, ad esempio, Vincente Minnelli realizza Gigi, cioè l'adattamento di un romanzo di Colette, già ridotto in una versione teatrale e poi cinematografica da Jaqueline Audry. Audry realizza Gigi nel 1950, in Francia, ma Minnelli dimostra di ignorarlo completamente, preferendo forse ispirarsi direttamente al testo di Colette, di cui in ogni caso non conserva le acute notazioni di costume, né l'aspra ironia con cui la scrittrice rappresenta la «mentalità di un'epoca fastosa e sordida, lieta e annoiata» (18). Il Gigi di Minnelli sfiora sia la definizione di adattamento sia quella di remake: non rimane nulla di concreto del libro, nulla del film di Jaqueline Audry.

Già in 1.1.3 abbiamo avuto modo di spiegare la relativa importanza che la trama riveste nel musical, e Minnelli non fa altro che confermare quanto già affermato in proposito.

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