4.1 L'appropriazione dei generi cinematografici.
Nel 1986, Omar Calabrese dedica un lungo articolo all'esplorazione di una probabile tradizione europea dei generi cinematografici. La riflessione di Calabrese scaturisce dagli esiti desolanti di molti film italiani prodotti nei venti anni precedenti all'articolo. La causa di tali esiti, secondo unanime e prevedibile giudizio della critica, dipende «dalla mancanza di idee, dalla ripetizione del già visto, dall'assenza di originalità formale». Ma c'è pure chi sostiene «che tutto sommato è proprio il riassorbimento “di genere” che dà al nostro cinema una dimensione “quasi” estetica». Pur non aggiungendo la propria voce all'uno o all'altro giudizio, Calabrese prende le mosse da questa discussione «per capire come e perché si possano formulare giudizi opposti a partire dallo stesso principio». La conclusione, a cui egli giunge è che i film italiani degli anni Settanta e Ottanta, siano essi prodotti con mano d'autore «o che siano realizzati per il più rapido e basso commercio, sono sempre film di genere» (3).
Come vedremo, non è difficile confermare l'intuizione di Calabrese; ma se è vero che esiste, almeno in Italia, un sistema dei generi, perché è così difficile rintracciare dei remakes? E, soprattutto, perché sono così scarsi i rifacimenti di prototipi americani? Nel confermare le ipotesi di Omar Calabrese, tenteremo di rispondere anche a queste domande. Proprio mentre il western classico vive la sua profonda crisi (cfr. 1.1.1), il rantolo del filone americano attraversa l'Oceano e approda nella mente di un autore che ne stravolge l'essenza, rivivificandolo a modo proprio. Ci riferiamo, ovviamente, all'alchimia con cui Sergio Leone, nel 1964, mescola il western con un soggetto del cinema giapponese (Yojimbo. La sfida del samurai, 1961, di Akira Kurosawa), ottenendo Per un pugno di dollari. La particolarità del film scava il primo tratto di un filone di breve ma di intenso successo: lo spaghetti western.