I rapporti con Germana degradavano di mese in mese così, non appena un grande imprenditore ebbe avanzato una seria proposta economica per acquisire la nostra attività, fissammo un appuntamento. L'imprenditore si presentò indossando una delle nostre magliette, voleva risultare simpatico a tutti i costi, senza successo, mi strinse vigorosamente la mano: «Ragazzo, tu sei un genio! Ma come ti è venuta in mente questa idea?»

«Quale idea?»

«Questa delle magliette ABBRACCIAMI! »

«Volevo solo che qualcuno mi abbracciasse e l'ho scritto su una maglietta. Tutto qua.»

Lui scoppiò a ridere, mi diede una pacca sulla spalla: «Sei davvero incredibile!»

 

ABBRACCIAMI era diventata una scritta insignificante su magliette, profumi, borse. Il mio grido era diventato una marca. Il linguaggio è strano: una parola più la ripeti, più perde il proprio significato, così come le gomme da masticare perdono ogni sapore dopo averle ciancicate troppo a lungo.

«Tutto questo non sarebbe mai successo senza di te» disse Germana «ti devo molto, hai cambiato la mia vita.»

Lo disse tenendomi la mano, ma evitammo di guardarci negli occhi. Sfilai la mano dalla sua presa: «Addio Germana, buona fortuna.»

 

L'estate del 2002 avevo tanti di quei soldi in banca che non sapevo che farmene, la mattina mi svegliavo tardi, uscivo nel tardo pomeriggio quando il caldo si attenuava, vagavo in città senza una meta, quasi volessi perdermi, e nelle strade incrociavo persone sconosciute che indossavano la mia maglietta senza sapere chi fossi, senza sapere cosa volesse dire davvero quella scritta che ostentavano sul petto: ABBRACCIAMI, ABBRACCIAMI, ABBRACCIAMI, ABBRACCIAMI... Una parola che si perdeva tra le voci disordinate dei passanti, tra le loro risate e le loro differenti direzioni.

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